Cenni storici

L’etimologia del nome è controversa. Alcuni studiosi spezzano in due "Copparo" per ottenere "coppa d’oro". Il Balboni scrive che l'origine del nome non è da ricercare nella forma odierna della parola bensì in quella più antica inclusa in un privilegio del 944 di papa Marino II diretto alla chiesa di Adria, dove si legge di "Massa Occuparii" e "Massa Copario". Però questo documento non può essere tenuto in considerazione – scrive il Franceschini – perché troppo grossolanamente interpolato se non del tutto fittizio. E continua: il toponimo ha una limitata diffusione e non potrebbe trovare riscontri che nell’area greco-bizantina (è da tenere presente anche Copara nella zona di Oristano).

Alcuni storici fanno un accostamento con l’antico Porto di San Pietro di Copparo (sec XI) e un etimo da "copa" nave oneraria mercantile, non può tuttavia avanzarsi con tranquillità, poiché nel ravennate, con attestati nel copparese, il termine "copa" equivale contemporaneamente a covone di grano e a misura di superficie agraria indicante una quantità di terreno richiedente una "copa" di semente.

La più antica menzione di Copparo è nel privilegio di papa Adriano II (870) che conferma a Firminiano e fratelli la Corte di Formignana, confinante a un lato con "Cuparus et Caput canilis". La giurisdizione sulla Massa di Copparo, il cui territorio era compreso tra il fiume Goro (di Baura), la Fossa Curulo e il Canale Bianco, fu oggetto di secolari controversie tra la Chiesa di Ferrara e di Ravenna.

Una prima risoluzione di queste controversie si ebbe nel Sinodo di Ravenna nell’anno 955, quando Martino vescovo di Ferrara, pur dichiarando che la Massa di Copparo era possedimento dei suoi predecessori, ammise di non aver negli archivi della sua Chiesa documenti che ne affermassero il suo legittimo possesso e quindi, per porre fine alla contesa, riconobbe Massa di pertinenza della Chiesa di Ravenna, passata poi incontrovertibilmente, a quella di Ferrara.

Un privilegio dell’arcivescovo Gebeardo (1040) ricorda la "Pieve" di San Pietro di Occupario, mentre altri documenti ravennati ne menzionano il "Porto". Nella pseudo bolla vitaliana, Copparo è compresa tra le masse soggette alla Chiesa di Ferrara.

Le lunghe liti, la cura posta dai nobili ferraresi per accattivarsi e mantenersi nelle grazie degli arcivescovi ravennati onde ottenere investiture dei suoi terreni, il minuto frazionamento della proprietà terriera, le numerose petizioni e concessioni "ad laborandum", mostrano Copparo come centro agricolo assai cospicuo dell’antico territorio, che primeggia ancora nel censimento del 1431 dove appare con la più vasta superficie seminata a frumento e orzo. Il paese è ricordato nella Statuta Ferrariæ del 1287 come "Coparius" per le incombenze spettanti a quei lontani copparesi nel cavamento della fossa detta "de Preta". Molti e precisi richiami sparsi in antichissimi documenti fanno pensare (è ancora il Balboni che scrive) a un luogo utilizzato come riserva di caccia.

Che fosse una zona adatta alle battute di caccia, come suppone il Balboni, è provato dalla memoria di un turrito castello costruito dagli Estensi più per esercitazioni venatorie che per integrare il sistema difensivo del loro Ducato: Nicolò d’Este e il duca Borso vi si recavano seguiti dalla loro splendida corte. Durante la guerra del 1482 i veneziani "menonno via bestiame per ducati duemila et meseno susso il palazzo de Coparo (lo stendardo di) Sancto Marchio".

Così il diario di quell’anno dell’Anonimo Ferrarese.

Dopo poco il castello fu preso e incendiato. Non ne restò nulla e furono perduti anche gli affreschi di Nicolò Panizzato, dipinti all’epoca di Leonello d’Este. Nel 1509, malgrado le schermaglie politico-diplomatiche, in un altro conflitto contro i Veneziani, il nostro territorio fu invaso da torme di schiavi dalmati al seguito dell’ammiraglio Trevisan.

Per ordine di Trevisan il provveditore Grandenigo, attraversato il Po e invaso il Polesine di S. Giovanni Battista, saccheggiò molti paesi compreso Copparo, distruggendo i raccolti e rubando il bestiame. Ritornata la pace con i Veneziani, Ercole II d’Este fece ricostruire sulle rovine del castello un sontuoso palazzo, la "Delizia", realizzato tra il 1540 e il 1547. L’imponente complesso era formato da cinque torri collegate tra loro in modo da formare un cortile interno, l'ingresso principale era rivolto a nord in direzione del grande Fiume; le sale erano affrescate dal Dossi e dal Garofalo.

Ma c’era anche un altro nemico da tenere a bada giorno e notte; il non lontano Po, che, dopo la rotta di Ficarolo del XII secolo, si era scavato un nuovo corso. Quando si faceva turgido e minaccioso, usciva spesso dal suo letto ed invadeva le lande. Particolarmente disastrosa la rotta del Po a Papozze del 1592 e quella di Berra del 1595.

Un progressivo bradisismo negativo abbassò di oltre due metri la zona, annullando gli sforzi e disperdendo gli ingenti capitali impiegati per intraprendere la bonifica delle valli.

La terribile piena del 29 settembre 1640 provocò la rottura dell’argine di Zocca per ben centosettanta metri. Le acque inondarono non solo Copparo, ma tutto il polesine fino a Mesola da una parte e al Barco dall’altra, lambendo quasi le mura di Ferrara. Seguì non meno funesta, la guerra detta "dei Barberini", nel 1644.

Nel 1809 un furioso incendio distrusse il palazzo, che nel frattempo era passato dalla famiglia d’Este al Papato e successivamente alla famiglia Barberini. Nel 1862 il Sindaco Gaetano Spisani acquistò il palazzo per conto dell’Amministrazione Comunale, i lavori di restauro terminarono nel 1875. Il palazzo è da allora sede della Residenza Municipale.